La Transumanza
« Tradere non Tradire »
Ci siamo dimenticati il valore di un animale. Più di 100 anni di industrializzazione e capitalismo hanno banalizzato il rapporto fra uomo e animale, volgarizzato il prezzo della carne ed abbattuto ogni legame con il sacrificio e la morte.
Per molti popoli nel mondo l’allevamento è stata, ed è l’unica fonte di sostentamento. Per l’avidità di certe terre o per le latitudini estreme il latte animale e la produzione casearia, di rado la carne, hanno occupato un posto di prim’ordine nell’alimentazione umana. L’Italia ha una lunga storia di allevamento, soprattutto ovino e caprino e una lunga tradizione gastronomica ad esso legata.
Le origini della pecora come la conosciamo oggi sono diverse. Fu probabilmente addomesticata in Mesopotamia per la carne ed il latte. In seguito portata attraverso il Sinai verso l’Africa settentrionale, dove incrociatasi con altre razze fu usata anche per la lana (Merinos).
Nell’Italia che oggi conosciamo, rimangono forti le tradizioni tessili e casearie legate alla pecora, si è andato tuttavia perdendo l’interesse gastronomico per questo prodotto. La produttività, la difficoltà e i tempi di cottura e gestione, il sistema che ha livellato la diversità a favore di manzo e maiale, hanno determinato una diminuzione nel consumo della carne di pecora e dell’interesse per questo prodotto da parte della grande ristorazione.
Nella ricerca del territorio e delle sue tradizioni, nuove generazioni di Chefs, hanno riportato l’attenzione a questa carne così speciale. Come non citare Riccardo Camanini e la sua “sbernia”, un’antica tradizione bergamasca che prevede la pecora conservata nel vino ed essiccata, addolcita nella ricetta del cuoco di Como con miele, nonché conservata nella cera.
Negli ultimi 15 anni, grazie al fondamentale contributo di storiche realtà che hanno promosso la qualità in termini di prodotto, in anni in cui l’industria egemonizzava il mercato, nobili produttori di carne hanno cominciato ad apparire sul territorio anglosassone. Tra questi molti hanno reintrodotto la pecora fra i loro allevamenti, consci del valore di questo animale.
Ikoyi, ristorante cosmopolita di Londra che unisce la stagionalità inglese con ingredienti di origine subsahariana, è un altro esempio che mette in primo piano un animale come la pecora. Questo animale, che nella parte ovest del continente africano ha lungamente transitato e che ancora oggi è una risorsa primaria.
Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare
E vanno nel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
I Pastori, Gabriele D’Annunzio
Così Gabriele D’Annunzio, descrive l’antica pratica della transumanza, una vera e propria migrazione stagionale congiunta, di uomini ed animali, uniti nel ripercorrere con cadenza annuale vere proprie autostrade dal manto erboso, sottoposte a pedaggi e controlli doganali, da sempre denominate Tratturi.
I Tratturi, prerogativa dell’Italia Centrale e Meridionale, ma estesi per centinaia di chilometri su tutto il territorio peninsulare, rappresentavano una fondamentale via di commercio e di ricchezza per le famiglie che possedevano il maggior numero di capi e conseguentemente il maggior peso politico e sociale nella vita delle piccole comunità montane.
Nella nostra regione, l’Emilia-Romagna, le vie classiche conducevano dal Casentino ed dalle radure più alte dell’Appennino Settentrionale, tra Bologna e Modena, fino alla pianura ravennate, nonché al Delta del Po, luoghi ricchi di pascoli rigogliosi ed umidi.
La transumanza, discesa “a passo ovino” dai crinali appenninici, prima del freddo, con lo sguardo verso l’orizzonte, in attesa di scorgere il luccicare del mare e l’orecchio sempre teso verso l’oscurità, regno del lupo, ha rappresentato una forma di allevamento fondamentale e strettamente legata alla morfologia del nostro territorio.
Questa pratica identitaria, di vita e di lavoro, è andata progressivamente sfumando, a partire dal dopoguerra, con l’ampliamento delle ferrovie, solcate dai carri bestiame e poi a partire dalla fine degli anni ’50 con l’introduzione del trasporto su “gomma”.
Possiamo dire che le ultime grandi transumanze siano state quelle effettuate da alcuni pastori sardi verso il continente. Spinti a lasciare le proprie terre da esigenze ed ambizioni personali, strettamente legate alla conformazione sociale di una realtà, spesso oppressiva e limitante, partivano accompagnati dal proprio gregge, concreta ricchezza famigliare, prima via mare sui traghetti, poi via terra, a bordo di un treno merci ed infine, come da tradizione, concludendo questo lungo percorso a piedi.
E’ questa la storia di un bambino che nella Sardegna degli anni ’60, fuggendo a un padre oppressivo, portò famiglia e pecore dall’isola verso i colli bolognesi. Qui instauratosi, mantenne l’allevamento e la produzione casearia della sua terra, un esempio unico in questo territorio dove non possiamo rimanere estranei alla qualità e integrità della sua produzione.
La storia dell’uomo è fatta di casualità come questa, di incontri e scontri, di scambi, di tradizioni che si sovrappongono, che spariscono e ritornano. Per queste ragioni, ad oggi, non esiterei a chiamare una realtà di questo tipo, tradizionale bolognese, nel rispetto di quegli uomini che hanno transumato, attraversato questa terra per “tradere”, consegnare a noi il patrimonio della propria memoria.