OMOTENASHI 御持て成し

Omotenashi 御持て成し è una parola che ha molti significati come molte parole della lingua giapponese, ricca di sfumature. 

“Omote” significa facciata, superficie. “Nashi” significa senza, meno. Senza facciata, mettersi nei panni di altri. Ma non c’è solo questo, ogni ideogramma si contraddistingue per un significato che riguarda aspetti dell’ospitalità, ad esempio: umile, onorevole, servire, sopportare e ancora eseguire, trasformare. 

Omotenashi raccoglie ogni aspetto dell’accoglienza e dell’ospitalità ma che è riduttivo tradurre con una di queste due parole.

È un credo, una way of life, trattare gli altri come vorresti essere trattato, accogliere senza secondi fini.

Tutte cose che portano a dover approfondire la conoscenza dell’altro per anticiparne i bisogni e servire con rispetto. 

In Giappone è alla base della customer experience. Un atteggiamento volto a servire, ma anche a ricevere un servizio. Un credo che nelle aziende parte prima di tutto dal benessere dei dipendenti e quindi della loro produttività per poi arrivare al cliente.

Un rapporto 1:1:1 datore, dipendente, cliente, che cerca di parificare tutto il percorso di filiera. 

Essere “padroni di casa” è un lavoro, lo è anche essere “Ospiti, clienti”. Privilegiare di un servizio non ci rende in diritto di tutto; solo nello spazio che rispetta tutta la filiera è infatti concesso al cliente di muoversi e in quello spazio di ricevere sempre il meglio.

Una catena di responsabilità connette tutti su un unico livello, creando un sistema di scambio basato in primis sulla fiducia.

Sì, perché scegliere un ortaggio o un pollo è prima di tutto un gesto che richiede al produttore onestà sulla qualità e al compratore richiede di affidarsi completamente.

Se da un lato infatti il professionista assicura la qualità e l’etica del suo operato, dall’altro, il cliente, ne comprende e sostiene il lavoro anche quando, per cause di forza maggiore, per errore o per casualità il prodotto non è perfetto; non per questo rinunciando alla qualità o annullando il pensiero critico, sempre mirando ad alzare lo standard, tenendo presente che il fallimento è parte del miglioramento. 

Un’economia basata sull’etica delle relazioni e della comprensione è un economia 1:1 dove il valore non sta nel prezzo ma nella qualità degli scambi umani, elementi fondanti di questa ricerca di una nuova economia sottratta al consumismo, alle logiche alienanti del mercato globale, all’individualismo competitivo, alla disumanizzazione dei rapporti.

Fidarsi al ristorante significa condividere, abbracciare un ideale basato su una forte morale del lavoro e dell’onestà.

Il fruitore si affida ai professionisti, con la promessa che il fine etico non venga mai meno da parte di entrambi, consegnando un’esperienza soddisfacente che rispetti, prodotto ed elevi il servizio senza affettazione, con naturalezza, magari raccontando una storia. Allo stesso modo funziona tra i produttori e i trasformatori. 

È così che cresce un’economia di filiera, insieme e con l’obbiettivo di una qualità che si affida all’altro.

Creare coesione su scala locale dà vita a un sistema non standardizzato, non individualista, non mercificatore, eradica quella globalizzazione che favorisce un’élite mobile e liquida, che annulla gli spazi dando vita a un Non-luogo e decentralizza il potere verso una molteplicità di microrealtà.