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OMOTENASHI 御持て成し

Omotenashi 御持て成し è una parola che ha molti significati come molte parole della lingua giapponese, ricca di sfumature.  “Omote” significa facciata, superficie. “Nashi” significa senza, meno. Senza facciata, mettersi nei panni di altri. Ma non c’è solo questo, ogni ideogramma si contraddistingue per un significato che riguarda aspetti dell’ospitalità, ad esempio: umile, onorevole, servire, sopportare e ancora eseguire, trasformare.  Omotenashi raccoglie ogni aspetto dell’accoglienza e dell’ospitalità ma che è riduttivo tradurre con una di queste due parole. È un credo, una way of life, trattare gli altri come vorresti essere trattato, accogliere senza secondi fini. Tutte cose che portano a dover

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TAGLIARE

Tagliare è il gesto all’origine del gusto. Il primo movimento di ogni preparazione inizia con il taglio. Ogni verdura, carne, pesce se non viene cotta intera, quindi solo lavata, deve sottomettersi alla pratica del coltello. Dare forma a un cibo ne altera le caratteristiche originali, uniforma (oppure no) la cottura, cambia la texture, in sostanza ne cambia il sapore. Tagliare è il primo e ultimo ostacolo per ognuno di noi cuochi, in verità per chiunque si approcci alla cucina. Si inizia col capire come maneggiare il coltello, come impugnarlo, all inizio del manico o alla fine. Si imparano forme e

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FAT

Quando si parla di cucina ci sono elementi senza i quali è impossibile veicolare il gusto. Sale indispensabile, dolcificanti di vario genere, aceti e frutta acida ma soprattutto i grassi. All’inizio del progetto MAMO il primo quesito che ci siamo posti è stato quello sui grassi: quali utilizzare? Quali sono disponibili nel nostro territorio? Quali è etico giusto usare nel rispetto dell’ambiente? L’olio d’oliva è il primo della lista, naturalmente.L’Emilia Romagna non è riconosciuta per la produzione di questo grasso, benché la presenza di ulivi e il loro utilizzo sia antichissimo. Nella zona dell’Appennino tosco-emiliano, nello specifico nel comune di

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FINE DINING IS DEAD

CBS promote the Clash It ain’t for revolution, it’s just for cash La pandemia ci ha toccato profondamente, sconvolgendo gli ordini di un sistema saturo di consumi e consumatori, annichilendo l’inarrestabile potenza dell’essere umano in continua espansione, ma soprattutto, mettendo in ginocchio il mondo dell’Hospitality. Fino a l’altro ieri cuochi e ristoranti erano approdati a status mai raggiunti prima, alla stregue di Rockstar e celebrità. Oggi in vertiginosa caduta il sistema è collassato, mostrando tutti i disagi di una realtà piena di incoerenze, problemi, sfruttamento e abusi. Responsabile il Covid, certamente, che ha scoperchiato il vaso di pandora con la

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Vegetale? Animale? Agricolo.

Alla base del sistema economico agroalimentare contemporaneo, così come per tutti gli altri sistemi, c’è il rilancio: una pratica del capitalismo che produce continuamente novità, affinché sostituiscano il vecchio, l’obsoleto. Un modo per rilanciare il mercato e creare la domanda. Se per certo da un lato si crea un progresso, un avanzamento dettato da novità scientifiche o da un cambio culturale di necessità, dall’altro si crea un consumo e con i numeri di oggi – quasi 8 miliardi di abitanti sul pianeta – e il desiderio crescente di benessere, un abuso. Negli anni 60 ci hanno detto che i grassi

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Polpette e Piselli

Slow Food and Fast Cars Non crediate che io abbia la pretensione d’insegnarvi a far le polpette. Questo è un piatto che tutti lo sanno fare cominciando dal ciuco, il quale fu forse il primo a darne il modello al genere umano” Pellegrino Artusi Le Polpette hanno una storia molto antica, macinare la carne è un atto semplice, primordiale, che affonda le sue radici all’inizio della storia dell’uomo. Arrivate in Europa probabilmente dalla Persia, dove sono conosciute meglio come Kofta (Koofteh), arrivarono in Grecia e poi in Spagna e a Roma. Persino Apicio ne riporta una ricetta con garum, mirto e

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Il Cortile

In Francia il pollo è un’istituzione. Trovare un animale allevato biologicamente e secondo ritmi più lenti è una possibilità che anche le grandi catene di supermercati riescono a fornire. I francesi d’altro canto, quando nel dopoguerra, l’allevamento industriale arrivò in Europa si opposero a un prodotto che non era come quello a cui erano abituati. Una sottile, democratica rivoluzione che è radicata in una cultura forte che li ha resi un simbolo gastronomico per generazioni fino ad oggi. Ma come siamo arrivati a questo? Quando abbiamo abbassato la testa e detto sì alla disumanizzante avida tecno-brutalità dei CAFO? La domesticazione

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Placenta

« Separati alla nascita » “Primario involucro umano, membrana protettiva e conservatrice, cela una sorprendente realtà interiore, pronta a svelarsi in tutto il suo essere” Così Marcus Gavius Apicius, gastronomo e viveur romano del I secolo a.C., denomina la ricetta di un’ancestrale cheese cake, torta a base di farina olio ed acqua, ripiena di formaggio, un antico esempio di tortello ante-litteram, dove la copertura di pane era spesso non considerata edibile, un semplice involucro che ne preservasse la qualità. Allo stesso modo parla il contemporaneo poeta Orazio, citando una torta dal nome lagana, antesignana della lasagna, sfoglie di pasta fresca posizionate una sopra l’altra, inframezzate da

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La Transumanza

« Tradere non Tradire » Ci siamo dimenticati il valore di un animale. Più di 100 anni di industrializzazione e capitalismo hanno banalizzato il rapporto fra uomo e animale, volgarizzato il prezzo della carne ed abbattuto ogni legame con il sacrificio e la morte. Per molti popoli nel mondo l’allevamento è stata, ed è l’unica fonte di sostentamento. Per l’avidità di certe terre o per le latitudini estreme il latte animale e la produzione casearia, di rado la carne, hanno occupato un posto di prim’ordine nell’alimentazione umana. L’Italia ha una lunga storia di allevamento, soprattutto ovino e caprino e una

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